Enna è l’esatto contrario dello stereotipo delle città siciliane: la sua provincia non ha un solo metro di terra bagnato dal mare, gli impianti di riscaldamento stanno accesi da ottobre ad aprile e quando scende la nebbia la città assume i contorni di alcuni quartieri di Londra. In effetti Enna è il capoluogo di provincia più alto d’Italia e proietta la sua immagine su tutto il panorama di alture e valli dell’entroterra siciliano. Definita per sette secoli “Urbs Inespugnabilis” (città imprendibile), con la caduta di Roma Enna divenne fortezza bizantina e poi passò di mano ai musulmani che ne fecero la capitale islamica della Sicilia e arabizzarono “Castrum Hennae” in “Qasr Yannah”, da cui “Castrogiovanni” che fu il nome di Enna per dieci secoli fino al 1926. Sul punto più alto della rupe, a dominare la valle sottostante si erge l’imponente Castello di Lombardia, imponente fortezza innalzata nel XII secolo quasi a simboleggiare la protezione del potere militare sull’antistante Rocca di Cerere. Oggi poco più che un enorme macigno, su questa rocca sorgeva il tempio, costruito dai Sicani e descritto da Cicerone, dedicato al culto della dea delle messi e della fertilità, che da Enna si sarebbe poi diffuso in tutto l’Impero Romano.
In collegamento visivo con la torre pisana del castello di Lombardia, solata nella sua unicità, la cosiddetta torre di Federico, certamente architettata sul modello delle residenze sveve da mani sapienti che hanno costruito, progettato, voluto la torre e di sapienti di artefici, di lapicidi, di architetti come Riccardo da Lentini, di scienziati che calcolavano la struttura da edificare.
Nell’odierna città antica si nota una ripresa del ruolo urbano di emporio attraverso la produzione e consumazione del cibo che ci fa tornare indietro ai riti e ai miti che qui nascono e assumono dimensione universale: le stagioni e la scoperta dell’agricoltura, la stanzialità e la comunità acquistano valore di cultura attraverso il racconto del mito di Demetra e Kore, tra la cima del monte Altesina e il fondo del lago di Pergusa, lungo le creste e i crinali delle colline che circondano l’alto di Enna e Calascibetta. Se nel lago di Pergusa si consuma la tragedia di Kore e la sua rinascita, negli inferi la sua liberazione viene condizionata all’essersi nutrita con tre chicchi di melograno, frutto simbolico e viatico di nuova vita. Il patto tra inferi e superficie sarà rinnovato ogni anno: Enna è la città melograno, proprio per la sua configurazione orografica con il vallone del torrente Torcicoda che ne apre il ventre come un frutto spaccato, verso il sole che domina a mezzodì, verso il lago di Pergusa a testimoniare il legame stretto tra luoghi e miti.
Oltre al mito di Cerere legato alla coltura del grano, a Enna si respira anche il mito di Aristeo, figlio di Apollo e della ninfa Cirene, divinità preposta a vigilare sulle greggi. Fu egli che regalò agli uomini l’arte di coagulare il latte e fare il formaggio. Non è un caso che Enna e il suo comprensorio custodiscano da secoli il “Piacentinu”, un pecorino ottenuto con il latte crudo delle pecore di razza Comisana, la piccante freschezza del pepe e l’aroma iodato e sensuale dello zafferano che ne fanno un formaggio unico al mondo, da sempre presente nelle tavole delle case ennesi e oggi sempre più utilizzato nelle preparazioni identitarie e innovative dei ristoranti, tra i quali a Enna alta spiccano quelli del Consorzio Kore Siciliae, interpreti contemporanei della storia e dei miti del territorio: Tommy’s Wine, osteria enoteca in una piazzetta lungo la centrale via Roma; Il mito di Kore a due passi dal castello di Lombardia; Giovane Hostaria San Marco vicina al belvedere.
La città antica era articolata su due assi che si incrociano dove sono le sorgive del torrente Torcicoda, in un luogo che è chiamato “la balata”: un cardo e un decumano che si perdono nell’intrico delle stradine, scendendo a sud lungo la via del mercato. Un altro braccio risale ad est alla Rocca e termina ad ovest nel colle del mulino a vento e di Maria SS. del popolo; a nord con la porta Palermo e Sant’Agata. Due strade moderne ricalcano le direttrici antiche ribaltandone all’esterno l’incrocio all’altezza del moderno e affascinante cimitero, via Diaz e corso Italia e lungo esse e sui margini del pianoro la moderna edilizia ne ha in parte, cancellato l’antico profilo urbano. Resta immutato lungo la risalita al Castello, testimoniato dai campanili che hanno trasformato in simboli religiosi le antiche torri.
La città antica sulla sommità del pianoro articolato in due propaggini, uno est ovest e uno nord sud, si prolunga nei suoi valloni, scivola dalla sommità per raggrumarsi in basso nell’area detta di sant’Anna e nel bacino del torrente San Giovannello, prolungandosi sino al lago di Pergusa.